Prof.
Gerardo Centemeri Dal
Meneghino all’Italiano (1920) |
I. L'origine di molti strafalcioni di grammatica Lezioni II. Articolo
(non deve precedere il nome: deve precedere il cognome) IV. Aggettivo
dimostrativo (uso di codesto) V. Aggettivo possessivo, (uso di loro) VI. Numerali
(uso di mille mila) VII. Pronomi
(uso di io e Me, tu e te) VIII. Particelle
pronominali (uso di le, loro) IX. Particelle
pronominali (uso di ci) XI. Uso dell'ausiliare con potere, volere, dovere Lezione I. L' articolo (uso di lo gli) Nel dialetto nostro l'articolo determinativo el, ai singolare, i, al plurale, si usa anche davanti ai nomi maschili comincianti per z o per s impura (cfr. Nota): el papà, el stüdi, el zio. Perciò molti, anche parlando italiano, usano sempre il, i, come se non esistesse l'articolo lo, plur. gli; e con che franchezza dicono: il studio, il zio Quest'uso è contro la Regola. 1. I nomi maschili che cominciano per s impura, o per z devono essere preceduti dall' articolo lo, al singolare, gli, al plurale. 2. I nomi maschili che cominciano per vocale vogliono, al singolare, l’, come in meneghino ( l’omm l’uomo) ma al plurale vogliono l'articolo gli, non i, come fa taluno, seguendo l’uso dialettale (i uomini, i omen). Dirai dunque gli studi, gli zii, gli uomini. Esempi: Bettina gli corse incontro gridando lo lo sposo! Renzo divenne lo zimbello della brigata (Nella prima edizione leggevasi il in vece di lo; ma poi il Manzoni s'è corretto). I più curiosi e più bravi scendono a prender le forche e gli schioppi. Gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno averne sparse tante. NOTA. S dicesi impura quando è seguita da consonante. Lezione II. Ancora l’articolo (uso di uno), Perchè, molte volte, usi l'articolo indeterminativo un in vece di uno? La risposta è facile: il tuo dialetto t'ha avvezzato a usare il solo articolo un (un basel, un zio, un scolar). Ma, se vuoi parlar bene la lingua della Patria tua, dovrai seguire la Regola: I nomi maschili comincianti per s impara o per z devono essere preceduti dall'articolo uno (non un): uno scolaro, uno zio. Esempi : Il Griso ripicchia un po’ più forte; nemmeno uno zitto (Sicuro: il Manzoni correggeva minutamente i suoi scritti. Nella prima edizione infatti, leggevasi un) Le prometto che fo uno sproposito se lei non mi dice subito subito il nome di colui. Lezione III. Ancora l’articolo (non deve
precedere il nome: deve precedere il cognome) 1. In dialetto, i nomi di battesimo sono preceduti come i nomi comuni, (l'Alfuns, el Lüis, la Lüisa). Molti, anche parlando italiano dicono: è stato il Luigi; chiama l'Alfonso. Questo mal vezzo è contro la Regola: I nomi di battesimo rifiutano l'articolo. Dunque: è stato Luigi; chiama Alfonso; Dante mori a Ravenna. 2. I cognomi invece, come in dialetto, devon essere preceduti dall'articolo: è stato il Rossi; venne da me il Cantù; io amo il Manzoni e l'Alighieri. Esempi: Lucia entrò mentre Renzo stava informando Agnese La peste era già entrata in Milano. Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò il primo. Lezione IV. Aggettivo dimostrativo (uso di codesto) Policarpo Petrocchi racconta: il Palma, percorrendo le campagne toscane, parlava una volta con una contadina. Un ragazzetto, figliolo di lei, aspetta aspetta che finissero la conversazione, disse finalmente: « Mamma ho fame » « Vai alla madia, gli rispose lei, e prenditi un ovo » il ragazzo andò, prese un ovo, e domandò: « questo ? » . « Sì codesto ». Il Palma fu colpito dalla precisione dell'uso di questo codesto. E tu, lettor mio, perché non usi mai, proprio mai, il codesto ? ti fa paura? E' vero: nel nostro dialetto quel vocabolo non esiste; ma altro è il dialetto, altro la lingua. Segui dunque la Regola: Questo (questa, questi, queste) si riferisce a cosa o a persona vicina a chi parla o scrive. Codesto (codesta, codesti, codeste) indica cosa o persona vicina o relativa a colui al quale si parla o scrive. Esempi: Caro amico, ti raccomando di venir via di Maremma perché codest'aria ti potrebbe far male. Lasciate disse Federigo all' innominato, lasciate ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti torti. Ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone. Lo sa il cielo se m' è stato duro di -dover contristar con rimproveri codesta vostra canizie. NOTA. 1. I nomi propri femminili sono preceduti,
talvolta linguaggio dall'articolo, come nel dialetto nostro; solo però nel
famigliare: chiama la Teresa; è stata la Rachele. 2. Rifiutano l'articolo soltanto alcuni cognomi diventati popolari : Mazzini, Garibaldi, Lutero. Lezione, V. Aggettivo possessivo (uso di loro) Uno scolaro scrive nella composizione: Luigi e Carlo partirono da casa sua. E quanti, come quello scola , usano suo, sua, suoi, sue quando i possessori sono più di uno! Perchè questo ? Perchè, nel nostro dialetto, diciamo sempre so, sua, sia riferendoci a un solo che a parecchi possessori: tücc g'han i so fastidi; el g'ha i so fastidi anca lü. Ma nella grammatica italiana esiste la Regola: Suo (sua, suoi, sue) si riferisce sempre a un possessore di numero singolare ; significa cioè so de lü, so de lee; Il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico. Lucia scoprì la sua casetta... scoprì la finestra della 'sua camera. 1. Quando il possessore è di numero plurale, userai loro, che significa appunto so de lur. Dunque : Luigi e Carlo partirono da casa loro. Esempi: Oh! voglion far altro che venir lassù, diceva Perpetua : anche loro devono andar per la loro strada. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, cori risparmio, e a malincuore. Agnese levò a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe. Lezione VI. - Numerali (uso di mille e di mila) Nel nostro dialetto dicesi mila, sia parlando di un solo migliaio, come di più migliaia: mila franch cent mila franch. In italiano in vece, nel primo caso, dirai mille, non mila ; mila usasi solo al plurale, ossia accoppiato a un altro numerale. Esempi: I mille s'imbarcarono per liberar la Sicilia e il Napoletano. Acqua d'aprile, ogni gocciola mille lire (Prov.) Costa due mila lire. Ma son mille! più mila. Vengono, son trenta, son quaranta, son cinquanta mila. Lezione VII - Pronomi personali (uso di io e me, tu e te) Osserva il seguente specchietto Soggetto: mi, ti Complemento: mi, ti Nel dialetto nostro, il pronome soggetto e il pronome complemento di prima e di seconda persona singolare sono identici. Non trovi in ciò la spiegazione di quel mal vezzo di confondere, anche in italiano, queste due sorte di pronome? Molti infatti dicono: andremo me e te sei stato te (andaremm mi e ti - te see staa ti). Se vuoi parlar bene, osserva quest'altro specchietto. Soggetto: io, tu Complemento: me, te Concludiamo: Io è usato come soggetto; me come complemento, non come soggetto: sono stato io verrai da me. Tu è usato come soggetto; te come complemento, non come soggetto: andiamo io e tu ; verrò con te. Esempi: Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi Passando di qui verso sera, salirete a prender anche me, e non me sola. Sta zítta! cosa vuoi avere inteso, tu? Lezione VIII - Particelle pronominali (uso di le, loro) Ecco alcuni scerpelloni : Luigi chiamò la sorellina e gli diede una mela. Carlo corse dai genitori e gli raccontò l'accaduto. Non è vero che, ogni tanto, ti lasci scappare di bocca tu pure quegli spropositi? E non ti sei mai domandato il perché? Perchè il dialetto t'ha avvezzato a usare la particella pronominale ghe per il maschile e per il femminile, per il singolare e per il plurale (a la mama, al papà, ai fradej, ai surell ghe vöri ben). Ma d'ora innanzi quel ghe lo tradurrai diversamente, secondo il diverso significato. Ghe significa:
Esempi: La piccola Bettina si cacciò nel orecchio, s’accostò a Lucia, le fece intendere che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all'orecchio. I bravi si fermavano rispettosamente al passar del signore, aspettando se mai avesse ordini da dar loro. Essi s'avviarono zitti zitti alla riva ,ch'era stata loro indicata. Lezione IX. Ancora le particelle pronominali (uso di ci) Avrai certamente udito alcuni tuoi condiscepoli dire: noi si vediamo spesso; andiamo a divertirsi un poco. L'origine di questo errore è ancora nel nostro dialetto: nün se vedem, nün se vedarem. NOTA. Nel parlare famigliare, usasi gli in vece
di le e di loro. Tale sostituzione trovi anche nel Manzoni;
assai raramente però: una decina di volte soltanto, in tutto il romanzo. Es.
Chi si cura di costoro a Milano ? chi gli darebbe retta? Ma questo uso è da seguire con discrezione, con sapienza: ciò che tu non sapresti fare e però segui la regola, tu. Regola: La particella pronominale per la persona plurale è ci (non: si). Esempi: Oh, Caro padre... ! ci rivedremo ci rivedremo? – Di che cosa? rispose il barcaiolo: siam quaggiù per aiutarci l'un con l'altro. Lezione X. Uso del passato remoto. Antonio Bresciani scrive: leggendo io un giorno al canonico Grazzini non so quale mio scritto, ove dicevo: Ieri sono stato, il Grazzini rise gentilmente. Di che io chiedendolo perchè ridesse, oh, rispose, perchè dopo le ventiquattr'ore i Toscani non usano mai il passato presente, ma sì il passato remoto, come ieri lessi, ieri vidi, ieri andai. Hai udito tu, che non usi mai il passato remoto? Perchè? Perchè nel nostro dialetto il passato remoto non esiste: perciò, parlando italiano, noi usiamo, come in dialetto, il passato prossimo, anche quando dovremmo usare il passato remoto. t bene pertanto che tu conosca la Regola: Il passato prossimo indica: 1. Un'azione accaduta in passato, i cui effetti però, durano ancora: Ieri ho fatto una lunga camminata e me ne sento ancora stanco. 2. Un'azione compiuta entro la giornata in cui si parla: Questa mattina è venuto Giorgio a cercarti. Un'azione accaduta in un periodo di tempo che non è ancora interamente trascorso, mentre si parla: Quest'anno sono accadute molte disgrazie. Il passato remoto indica: 1. Un'azione accaduta nel passato, e ormai del tutto compiuta: L'anno scorso venne Giorgio a cercarmi. Galileo Galilei, nacque a Pisa. Bruto uccise Giulio Cesare. 2. Fatti anteriori alla mezzanotte del giorno in cui si parla: Ieri venne mio zio. Esempi: Ho fatto stamattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione dell'avvenuto. Gli ho ricevuti anch'io poco fa; e ho pensato che, se li tengo a dormir con me, non so di che parere sarò domattina. C'è quel casolare disabitato e solo... una casa che bruciò pochi anni sono (nella I edizione, leggevasi é bruciata; ma poi giustamente il Manzoni ha corretto). La peste non si fermò nel milanese, ma invase e spopolò una buona parte d'Italia. Lezione XI. Uso dell' ausiliare coi verbi potere, dovere, volere. Regola: I verbi potere, dovere, volere si coniugano con l'ausiliare con cui si coniuga il verbo che li segue. In dialetto invece, si coniugano sempre con avere: e questo uso dialettale seguono i mal parlanti. Tu, come in dialetto, dirai: lo ho potuto fare il compito: tu hai voluto vedere, poiché dicesi io ho fatto, tu hai veduto. Ma, contrariamente all'uso dialettale, dirai: Io non sono potuto entrare; essa non è voluta venire; egli è dovuto s tare. Non dicesi forse sono entrato, è venuta, è stato ? Esempi: Renzo prese un braccio di Lucia... e si mosse, tirandosela dietro tutta tremante, che da se non vi sarebbe potuta venire. Dal loro parlatorio avevano ottenuto cose che le più gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute arrivare. T'avevo invitato tante volte; non sei mai voluto venire. lo ho fatto di tutto, rispose la vecchia : ma non ha mai voluto mangiare, non è mai voluta venire. (Nota: nella prima edizione leggevasi: non ha mai voluto venire). NOTA. Questa regola fu violata più volte anche dai
migliori scrittori, compreso il 'Manzoni : ma tu parla come la regola
prescrive. |
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