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Il BarbapedanaDa uno scritto di Roberto Leydi |
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Enrico Molaschi: il più famoso Barbapedana Altri “Barbapedana” precursori ed
eredi del Molaschi Descrizione della
melodia e della musica del Molaschi Testi vari di
canzoni di e su il Barbapedana Riproduzione manoscritto attribuito
a Enrico Molaschi Il Barbapedana
secondo Severino Pagani
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Introduzione
“Fra il corso di Porta Tosa
e la via di San Pietro in Gessate s'alza un'isola di squallide case, ammasso
di muri, vasto ed informe, forato qua e là da una vera carie di anditi
occulti, di tramiti, di sottoportici. Ivi serpeggiano certe viuzze nascoste,
note soltanto agli oscuri abitanti del borgo. Ivi si trova il vicolo
Incarnadino, il vicolo Bindellino, il vicolo Colonnetta, il vicolo Bissati.
C'è da scommettere che fra tutti i nostri lettori non ve n'abbia uno il quale
conosce questi reconditi siti della Suburra milanese, ed è perciò che li
accenno. Per chi da segreta vaghezza è spinto verso le strade poco battute,
alla cerca dell'ignoto e del buio, il vicolo Bindellino è inapprezzabile.
Lungo, stretto, tortuoso come lo indica il nome, rassomiglia a un bindello
arruffato; certa cale di Venezia, certo viottolo di Genova, la " rue de
trois canettes " di Parigi sono parenti di questo vico remoto sulla cui
calce il salnitro, bizzarro ornamentista, disegna frange e festoni. Sovente le più liete
creature s'accolgono fra le più fracide cose; ogni carie è un nido: sul
fracido tumulo corre il dorato coleottero, sul fracido ramo canta l'usignolo
e il menestrello dorme nel fracido tugurio [...]” Con queste parole dedicate a
una Milano di novant'anni fa che più non esiste e non in qualche memoria
toponomastica (il nome del vicolo Colonnetta ancora si legge su una targa
stradale ma le case che formano questa via di porta Vittoria non sono certo
le stesse di questa commossa descrizione), Arrigo Boito1 iniziava
un suo lungo scritto, una cronaca come allora giustamente si diceva, dedicato
ad uno dei più cari personaggi della vecchia vita popolare milanese: il
Barbapedanna. Non c'è a Milano persona di
una certa età che non vi sappia dire chi era questo eccentrico e gaio uomo di
strada e non sia in grado di ricordare il suo ritornello più famoso: Barbapedanna
el gh'aveva on gilé Rott per
denanz e strasciaa per dedree... E intere generazioni di
ragazzini lombardi sono cresciute ascoltando le madri e nonne ripetere
l'altra filastrocca illustre del Barbapedanna: E de
piscinin che l'era El balava
volentera... Il Barbapedanna che i nostri
padri hanno conosciuto (e al quale Arrigo Boito ha dedicato la sua bella
cronaca) in realtà non è stato che l'ultimo di una serie, e possiamo dire che
in ogni epoca, forse dal cinquecento, forse anche da prima, Milano ha avuto
con i suoi dicitori di bosinade e i suoi misteriosi torototella, il suo
Barbapedanna, il suo eccentrico suonatore e cantante ambulante. Il nome Barbapedanna già lo
incontriamo nelle stampe del XVII secolo e leggendo il Maggi, e precisamente
nella scena 3a dell'atto III del Barone di Birbanza (vv. 323-25): L'ho dij
par quij che porten la capascia Fin de
Barbapedanna Che fa
bandera su la durlindanna...2 dai quali si dovrebbe
dedurre che a quel tempo s'indicavano col termine di Barbapedanna i
giovanotti eleganti e mondani, quelli che portavano, secondo il costume
elegante dell'epoca, la "capascia che fa bandera su la
durlindanna", cioè la gran cappa a far bandiera sulla spada. Il poeta milanese Gaetano
Crespi3 cita un'anonima poesia milanese del XVII secolo nella
quale, forse sotto l'influenza del Maggi, si dice: Barbapedanna havevel 'na
capascia Senza color, con la fodraeda
strascia; L'era bandera sü la
dürlindanna Quand le portaeva in gir Barbapedanna. L'era
homm de carnevaee volt una spanna E
quest''even nomace Barbapedanna, L'eva st'homm inscì tant piscinin Cb'al
posseva balà ben sü on quatrin. questo frammento è già delineato, nei suoi termini essenziali di uomo carnevalesco e tipo buffo, il Barbapedanna del quale ci è giunta la memoria. E anche ci sono, con poche variazioni, i temi e le parole delle due più famose canzoni che l'erede del Barbapedanna secentesco, celebrato dal Maggi e dall'anonimo poeta portato alla luce dal Crespi, andava ripetendo, nella seconda metà del secolo scorso, per le vie e le piazze di Milano. Tutto ciò ci fa legittimamente presumere che la tradizione del Barbapedanna sia passata di generazione in generazione, portando fino a noi un piccolo patrimonio di reliquie poetiche e musicali popolaresche le cui origini ci portano ben indietro nel tempo. Qualcuno, in vena di audaci indagini musicali, ha voluto trovare, nella melodia del Barbapedanna g'aveva un gilè e in quella del Piscinin che l'era, caratteri cinquecenteschi. Può darsi ma quello che è certo è che per le vie misteriose della tradizione popolare urbana un Barbapedanna si è succeduto all'altro, nel volgere delle generazioni, conservando, nel mutare del costume, degli abiti e dei modi di vita, se non l'aspetto esteriore, almeno il carattere. |
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Enrico Molaschi: il più famoso Barbapedana Il Barbapedanna di cui ci parla
Boito (il più illustre e conosciuto della lunga serie) si chiamava Enrico
Molaschi ed era nato a Milano il 1 gennaio del 18234. Le sue prime
esperienze di suonatore e di cantante le fece però nel contado, e
precisamente in quel di Paullo, dove ancora giovanotto s'era trasferito,
ospite forse di alcuni parenti. Lavorava come garzone in un'osteria dove
spesso faceva sosta, nei suoi vagabondaggi attraverso la pianura lombarda, un
suonatore che intonava, accompagnandosi sulla chitarra, molte canzoni popolari
e filastrocche ingenue. Il giovane Molaschi fece amicizia con questo
musicante di strada del quale non ci è giunto il nome e da lui apprese i
primi rudimenti dell'arte di suonare la chitarra e un certo numero di
canzoni. È probabile che già questo suonatore si facesse chiamare
Barbapedanna, ma è certo che comunque nel suo repertorio aveva una
filastrocca senza senso nella quale si parlava, in dialetto emiliano, d'un
Barbapedanna "vestito d'una gabbana", o qualcosa del genere. Dopo
alcuni anni di lavoro come suonatore e cantante ambulante nella zona di
Paullo (e pare con buona fortuna). Enrico Molaschi si decise a trasferirsi a
Milano, con la moglie e i sette figli. Pare certo che il nostro Barbapedanna
abbia iniziato la sua pittoresca attività nella capitale lombarda nel 18625,
stabilendosi, come ci ricorda il Boito, in Vicolo Colonnetta, a porta Tosa, e
alternando la chitarra con la lesina e il trincetto del ciabattino. Grande fu la popolarità che Enrico Molaschi, alias Barbapedanna, seppe conquistarsi in pochi anni a Milano. Vestito del suo comico giubbone, con in testa il gran cappello all'italiana e a tracolla la fedelissima chitarra, Barbapedanna girava le osterie a presentare il suo programma e non raramente era invitato a rallegrare i trattenimenti e le feste nelle famiglie. Nel periodo della villeggiatura lo chiamavano nelle ville in Brianza e il suo arrivo era sempre occasione per riunioni chiassose e allegre, che invariabilmente finivano con balli sotto le stelle, al suono di travolgenti polke, valzer, galop e mazurche, suonate sulla chitarra (si dice con tecnica inarrivabile) dal Barbapedanna. La regina Margherita volle
conoscerlo e l'invitò nella villa reale di Monza. Lo ascoltò cantare e
suonare, gradì molto i suoi lazzi mimici, si complimentò con lui e gli regalò
una chitarra nuova. Un anno, poi, fu eletto re del carnevale: nella bella
sala oggi scomparsa della Canobbiana, Barbapedanna ebbe, per una notte,
trionfo e onori ed egli, in cambio, cantò, vestito d'un manto d'ermellino e
con la corona in testa, le sue canzoni più belle. La descrizione più felice
d'una esibizione del Barbapedanna Enrico Molaschi è certo quella che Arrigo
Boito ci ha lasciato nel saggio ricordato: “Un formidabile
strimpellamento rispose all'evocazione del poeta, uno scoppio di corde
armoniche sgominate e percosse come mille cétere fossero ruinate in un averno
capitombolando giù dallo scalone del paradiso. Quella fonica valanga aveva un
certo che d'olimpico e di tartareo insieme, gli accordi parevano scattare di
istrumenti celesti caduti fra le unghie del diavolo.6 Pensai udendo un tal baccano
a non so quali arpe sataniche. Un tuono così portentoso doveva annunziare
certamente una portentosa apparizione. Infatti, nell'attimo ch'io impiegai
per tracannare una gorgata di vino, l'apparizione comparve. Quando riposi il
bicchiere sul tavolo stava innanzi a me il suonatore dell'arpa satanica, ma
il suonatore non era il diavolo né l'istrumento un'arpa. A un tratto l'amico
nostro poeta disse, presentandoci con piglio trionfale il personaggio evocato
"Ecco il Barbapedanna e la sua chitarra"... Il menestrello ritto
dinanzi a noi volgendo le spalle al paesaggio lunare rimaneva solo nel buio.
Non apparivano d'esso che i bizzarri contorni; il suo cappello di feltro
all'italiana, munito d'amplissime tese e collocato verso la nuca, rendeva
l'immagine d'una aureola di ombra. Il poeta afferrò una
lanterna a raggi concentrici, lasciata sul tavolo dall'oste, e rapido come un
baleno ne diresse tutta l'irradiazione sul menestrello. Barbapedana stette in
sulle prime immobile come in un quadro. Io tentato di raccapezzare nella
memoria da quale tela di Salvator Rosa era disceso quello strano personaggio.
Un tipo così gagliardo d'italiano non vidi poscia mai. L'anima balda gli si
pingeva nella forza delle pupille; il sole che imbruna i grappoli delle
colline brianzole aveva imbrunita la sua faccia. La vigorosa muscolatura
della vite pareva riprodotta nelle membra di quell'uomo che non contava più
di trent'anni7. Portava sul Mento il pizzo tradizionale de' nostri
patrioti e lo portava così gloriosamente che più che una foggia di barba
sembrava l'altiera coccarda del suo volto. Il colore de' suoi capelli
realizzava l'estremo possibile del nero, ma i suoi occhi parevano più neri
ancora. Due braccia poderose, atte a lavori d'atleta, riposavano sulla
chitarra... Il chitarrista incominciò a cantare con questi due versi: Barbapedanna
el gh'aveva on gilé Rott per
denanz e strasciaa per dedree. Una pesante risata
dell'austero tedesco rispose a questo principio... Il menestrello, avvistosi
che l'uditorio gli era ostile, s'interruppe, vuotò mezza bottiglia, indi,
fissando animosamente il detrattore negli occhi, ripigliò il canto più
coraggioso di prima. Nella sua voce vibrava
l'accento veemente della disfida. Barbapedana, prima di ripigliare per la
seconda volta la ballata derisa aveva risvoltate le maniche della camicia
fino quasi sotto le ascelle, come prima d'incominciare una lotta. Il muscolo
bicipite del suo braccio destro era turgido d'ira, e da quella leva potente
scattavano, balzavano gli arpeggi: arpeggi strappati dalla collera e
dall'ispirazione... Intanto la ballata seguiva il suo cammino; era una specie
di leggenda burlesca narrante i fasti di Barbapedana medesimo: egli ne aveva
creato il concetto, i versi, le note, l'accento - la ballata cantava
Barbapedana e Barbapedana cantava la ballata - Pure in quel suono e in quel
canto tratto tratto appariva lo stile caldo e incosciente
dell'improvvisazione. Ogni ritornello terminava col nome di Barbapedana, e ad
ogni ritornello la voce del cantore pareva più forte, la chitarra più viva,
la cantilena più ardente, il ritmo più ratto, le parole più balde. Era un
crescendo portentoso. L'onda sonora sotto le dita
di Barbapedana subiva tutte le trasformazioni possibili d'una vera onda; da
zampillo era diventata rigagnolo, da rigagnolo ruscello, da ruscello
torrente, da torrente fiume, da fiume cateratta e continuava ad aumentare.
Fra un ritornello e l'altro correva uno scherzo della chitarra sola, sempre
variato, sempre nuovo, durante il quale il canto cessava. Allora si vedeva il
menestrello staccare il braccio sinistro dal manico della chitarra, afferrare
un bicchiere colmo di vini e trangugiarlo, mentre la mano destra continuava a
suonare lo scherzo facendo "capotasto" alla rovescia, col polso
sulle corde mentre le dita guizzavano adunche, rapidissime, nervose come
zampe di gatto. Poi ripigliava la ballata; il vino bevuto pareva che
annaffiandola la facesse divampare, come fa l'alcool sulla brace; nelle sue
note scoppiettava il brillante tremolio de' pirausti e il salto della
salamandra. A un tratto il canto cessò e continuò solo il suono della
chitarra... V'ha nei salmi di Marcello certo "basso continuo" il
quale produce un effetto terribile per la possente equabilità che lo informa.
La chitarra del nostro giullare mi rammentava quel "basso". Una
"dominante" e una "sottodominante" vi si alternavano
nelle note profonde, gravitando pesantemente sulla tonica, quasi attratte da
una forza centripeta, da un'irresistibile fatalità; quel moto di intervalli
uniformi spirava realmente una calma fatale, calma di bonaccia, calma di
marcia che poteva repente tramutarsi in battaglia, di bonaccia che ad un
tratto poteva diventare uragano. Quella monotonia, quella monoritmia
preparava, incubava qualche prodigio musicale presentito paurosamente... Ad
un tratto un baleno guizzò fra le nubi che pendevano sul nostro capo, e le
dita di Barbapedana guizzarono anch'esse con tale rapidità che parvero
rispondere al lampo di luce con un lampo di suoni. In quel momento m'accorsi
che il "il basso continuo" era salito d'un diesis; la prima
modulazione aveva avuto luogo, l'argine tonale era infranto, s'iniziava il
cataclisma. Un turbine d'intervalli cromatici
veloci come il vento, dispersi come la tempesta, scoppiarono dalla chitarra;
quell'arruffio d'accordi portentosi e violenti crebbe, s'enfiò, si dilatò,
sempre più, sempre più, fin che giunto all'estremo sforzo possibile del
fragore, il tuono dell'uragano già annunziato dal lampo, lo continuò
rimbombando nell'aria e soffocandolo...8” Poi anche per Barbapedanna
venne l'ora triste del tramonto. I milanesi che l'hanno conosciuto, persone
che oggi debbono avere più di settant'anni, lo ricordano infatti ben diverso
da come ce l'ha descritto Boito. Non più un giovane gagliardo, dai muscoli
d'acciaio e dal colorito acceso del contadino, ma un povero vecchio, un poco
curvo, con il pizzo candido, gli occhi ancora vivi ma il gesto stanco. Anche
i tempi erano mutati e la stagione dei Barbapedanna stava tramontando con la
fine irrimediabile del "mondo di ieri". Verso il 1890 Enrico
Molaschi era ormai senza denti e non poteva più cantare. Suonava ancora con
slancio la sua chitarra e i temi famosi del suo repertorio era costretto a
fischiarli. Il suo ingresso nelle osterie, preceduto sempre dalla famosa
marcetta che era la sua sigla, ancora suscitava piacere negli avventori più
anziani e quando camminava per la strada non mancavano i ragazzini
schiamazzanti a fargli corteo, ma i giovani non credevano più al piccolo
semplice mondo evocato dalla chitarra e dalla voce dell'ultimo Barbapedanna,
relitto commovente giunto fino alle soglie del XX secolo dalle memorie dei
tempi passati. Così Enrico Molaschi finì i suoi giorni al Pio Luogo
Trivulzio. Fu ricoverato in via della Signora e quando l'istituto fu
trasferito a Baggio9 seguì i suoi compagni nella nuova sede. Morì
così alla Baggina il 26 ottobre 1911, all'età di anni 88. Dei suoi nove figli
(sette nati a Paullo e due a Milano) nulla si sa. La chitarra appartenuta al
Molaschi fu acquistata alcuni anni fa da Natale Gallini e ora si trova
esposta al Civico Museo di strumenti musicali di Milano.10 Scomparso Enrico Molaschi
qualche altro volonteroso suonatore ambulante cercò di risuscitare il
personaggio del Barbapedanna, ma senza fortuna. Al dormitorio pubblico di via
di Breme ancora qualche anno fa riposava la notte un povero vecchio che si
diceva l'ultimo Barbapedanna, l'erede diretto del grande Molaschi. Girava con
la gabbana nera e il cilindro, suonava la chitarra e il flauto, cantava, con
voce tremula ma chiara la solita filastrocca: "E de piscinin che t'era /
El balava volentera ... ". |
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Altri “Barbapedana” precursori ed eredi del Molaschi Enrico
Molaschi non fu, naturalmente, l'unico cantante e suonatore ambulante
del suo tempo, ma soltanto il più popolare e, probabilmente, il più bravo. Di
molti altri musicanti di strada che rallegrarono Milano nella seconda metà
del secolo scorso ci è giunta memoria. Ne citiamo alcuni tra i più
noti: Bagia,
suonatore ambulante che ebbe grande popolarità fra il 1860 e il 1870; Din
Din, suonatore ambulante di triangolo; Facia
de ratt, suonatore ambulante di violino; Cesare
Molinari, violinista ambulante con grandi baffi; suonava ponendo il
violino nelle più strane posizioni e si autodefíniva "violinista
acrobata": di lui esistono alcune fotografie e almeno due quadri di
Aroldo Bonzagni; fu attivo fino alla prima guerra mondiale; Orfeo,
suonatore ambulante di bombardino e venditore di fiammiferi; fu popolare
attorno al 1880; Togu
Tamboron, cantastorie e strillone di piazza, attivo negli ultimi anni
del secolo scorso. Di lui si parla, fra l'altro, in una bosínada del 1902,
intitolata Bosinada e testament /del Paciasass coi so lament; Vecio,
popolare cantante di strada, morto al Pio Luogo Trivulzio. |
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Descrizione della melodia e della musica del Molaschi Ecco la melodia delle due
più popolari canzoni del Barbapedanna, così come sono generalmente riferite. Si tratta di due
componimenti evidentemente anonimi e tradizionali, anche se talora qualche
poeta e qualche musicista volle attribuirsene la paternità. Ad esempio,
esiste un foglio a stampa della Tipografia Ranzini di Milano del 1900 dove
alle parole del De piscinin che l'era è preposta questa indicazione d'autore:
Racconto in dialetto milanese / posto in musica dal M. Giovanni Martinenghi.
In un foglio senza data ma sicuramente precedente (Tipografia ditta Bertani)
il testo del Piscinin è dato invece anonimo. |
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Barbapedana el gh’aveva on gilè L'è vera che sont goeubb ma sont de rispettà de goeubb a ghe n'è tanti de goeubb a ghe n'è tanti l'è vera che sont goeubb ma sont de rispettà de goeubb a ghe n'è tanti de tanti qualità. Ohi li ohi li - ohi li ohi là de goeubb a ghe n'è tanti de goeubb a ghe n'è tanti ohi li, ohi li - ohi là ohi là de goeubb a ghe n'è tanti e de tanti qualità. Mè pader l'era goeubb mè mader anca lee gh'aveva ona sorella e goeubba anca quella gh'aveva on fradell e goeubb anca quell e adess che hoo tòlt miee anca lee col goeubb dedree. Ohi li ohi li - ohi li ohi là de goeubb a ghe n'è tanti de goeubb a ghe n'è tanti ohi li, ohi li - ohi là ohi là de goeubb a ghe n'è tanti e de tanti qualità. Semm andaa a l'osteria gh'era goeubba la mia zia gh'era là i sonador goeubb anca lor la gh'ha avuu du gemej goeubb anca quej el padrin che i ha tegnuu lu de
goeubb ghe n'aveva duu. Ohi li ohi li - ohi li ohi là de goeubb a ghe n'è tanti de goeubb a ghe n'è tanti ohi li, ohi li - ohi là ohi là de goeubb a ghe n'è tanti e de tanti qualità. De tant piscinín che l'era el ballava volentera el ballava in sú on quattrin cont insèmma el fradellin che '1 pareva on pigottin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Coi bacchètt d'ona fassinna l'ha fàa on tavol de cusinna n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura el sgabellin per mètt sú i sò bej pescin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Con 'na brassa de fustàgn l'ha fàa foeura tutt i pagn n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura el gilerin de mètt sú al sò fradellin con fàa dent el saccoccin per mètt dent l'orologin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Con 'na brassa de tarlis l'ha tajàa dusent camis n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura i manscionin de mètt sú al sò fradellin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinín. On di giust cont on quattrin l'ha fàa foeura on caldarin n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura on padellin per rostigh el fideghin ghe ne dava al fradellin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Cont on sigher de Cavour l'ha fumàa quarantott'ôr n'ha 'vanzàa ancamò on cicin ghe n'ha dàa al sò fradellin che '1 casciava el sò fumin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Cont on pugn soltant de terra l'ha fàa foeura on camp de guerra n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura sètt fortin per mètt dent i soldarin comandàa dal fradellin che l'ha fàa caporálin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Con 'na brassa de ramètt l'ha fàa foeura on bel
s'ciopétt ghe l'ha dàa al sò fradellin per tiràgh a l'usellin quand l'andava al boschettin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. Ona sègia de calcina l'ha serví a fa la cassinna n'ha 'vanzàa ancamò on cicin l'ha fàa foeura on casottin de mètt dent el porscellin che '1 pareva on formighin de tant che l'era piscinin de tant che l'era piscinin. De tant piscinin che l'era el dormiva volentera el dormiva sú on cossin cont insèmma el fradellin fàven giò el sò sognettin che paréven poresin de tant che eren piscinin che paréven poresin de tant che eren piscinin. Me regordi che on dí in la mia
scoeula, hoo veduu sgorattà ona
tegneoula tutt stremii me son miss a vosà: - Te la chí!... Te la lí... Te la là... La maestra, stremida anca lee, l'ha desmiss de spiegà
l'abbecce, anca lee la dà foeura a
strillà: - Te la chí!... Te la lí... Te la là... I fioeu sbalordii, spaventaa, resten lí mezz minutt senza
fiaa... e poeu, tracch, tucc insemma a
sbragìà: - Te la chí!... Te la lí... Te la là... Con la scova el va a caccia el
bidell, nun scolar tremm per ari el
capell, dandegh dent a sguagní,
sbragalà: - Te la chí!... Te la lí... Te la là... A man dritta se sent: - Te la chí!... A sinistra rispond: - Te la lí!... D'ogni part l'è un tremendo tronà: - Te la chí!... Te la lí... Te la là... La tegnoeula giamò mezza mòrta, la gh'ha coeur de scappà de la pòrta E nun piangem, podend pu vosà: - Te la chì !... Te la lí... Te la là... Barbapedana el gh’aveva on gilè Barbapedana el gh’aveva on gilè Senza el denanz e cont via el
dedree, Cont i sacòcc longh ona spanna,
l’era el gilè del Barbapedana… Barbapedanna el gh’aveva on
s’cioppett Per sparà contrà i solda de
Maomett E ‘sto s’ciopett longh ona
spanna L’era el s’cioppett del
Barbapedanna. E da Bersaglier che l’era El sparava voletela El sparava ‘l s’cioppettin Contra i trupp di Beduin. (E.Frati-E.Sciorilli) Con la tuba e la chitarra, il pastrann fatto a zimarra, c'è un ometto, un tipo strano che passeggia per Milano. Ed in pretto meneghino improvvisa bosinate, ma non trova un cittadino che si fermi ad ascoltar.
Strimpella scherzando e narra cantando le storie del vecchio Verzee. E' tornato Barbapedana, ch'el gh'aveva quel tale gilè, longh davanti e curt dedree, coi sacòcc longh e largh ona spanna. E' tornato Barbapedana, vegnì tutte i tosan a vedell, com'on dì se'l portava il gilè, senza il davanti e cont minga il dedree Chiede a tutti con cipiglio: "Dove han messo il me' naviglio? e il Barchett de Boffalora anca lù l'è andà in malora?” Questi cari busecconi, con la scusa dei progresso, s'in pacciaa anche i bastioni per fa sù 'ti cinemà ! E va mogio mogio laggiù il Sant'Ambrogio, sognando il suo vecchio Milan. E' tornato Barbapedana, ch'el gh'aveva quel tale gilè, longh davanti e curt dedree, coi sacòcc longh e largh ona spanna. E' tornato Barbapedana, vegnì tutte i tosan a vedell, com'un dì se'l portava il gilè, senza il davanti e cont minga il dedree. E' tornato Barbapedana, ch'el gh'aveva quei tale gilè, longh davanti e curt dedree, coi sacòcc longh e largh ona spanna. Mai nessun forse l'ha visto e nessuno sa dirci com'è, ma san tutti che aveva il gilè: senza il davanti e cont minga il dedree. |
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El Goeubb El Barbapedana |
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Riproduzione manoscritto
attribuito a Enrico Molaschi
Per quanto riguarda il testo
verbale citiamo quello che appare in un manoscritto trasmessoci, nel 1963, da
Gianfranco Gnecchi Ruscone. Questo manoscritto dovrebbe essere di mano del
Molaschi e riprodurre, quindi, il testo da lui cantato: Canssonetta Nuovissima
intitolata il picinino Composta dal Molaschi Enrico Rinomatto Barbapedana |
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Per picinin che lera el balava volonterra el ballava su'n quattrin de tant che lera picinin; Con un brassa de Fustagn la fà forra tutti pagn na vansà un bucunin la fà forra un barettin de tant che lera picinin; Con un brazza de Terlis la fà forra sessanta camis na vansa un tantirolin la fa forra i manscunin de tant che lerra picinin; Con la pena d'un puresin la fa forra un bel Lettin na vansà un tantirolin la impenii dù Cossinin de tant che lerra picinin; Con un oregia de camus la fa forra dusent pappus e na vansà un tantirolin la fa forra i sibrettin de tant che lerra picinin; Con una segia de Calcina la fa sà chà e Cusina nà avansà un tantirolin la fà forra anche el Camin de tant che lerra picinin; Con un tochel de cadenass la fa forra mojetta e
bernass na vansà un buconin la fa forra el Cadenin de tacassù el sò pignatin de tant che lerra picinin; Con una gugia de calsset la fà forra tresent stachet na vansà un bucunin la fà forra el martelin de picà dent i stachetin de tant che lerra picinin; Con una gugia da cusì la fa forra sapa e bajì nà vansà un tantirolin la fa forra ancha el Folcin de taiatoch i bachettin de tant che lerra picinin; |
Com'è facile rilevare, questo testo si discosta in
più d'un punto da quelli che normalmente, nelle raccolte milanesi, vengono
attribuiti al Barbapedana Molaschi. La natura stessa di questa canzone, che
non è certo opera del Molaschi ma di ben più antica ascendenza e la cui
presenza è attestata in tutta l'Italia settentrionale e anche fuori d'Italia
(cfr. C. Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino 1957, n. 89, p. 507),
comporta una continua variazione comica sul tema dell'omino piccolissimo e l'aggregazione
di nuove strofe. Se oggi molti ritengono El piscinìn una canzone
"tipicamente milanese" ciò è il risultato della popolarità a questa
canzone guadagnata, a Milano, dalle fortune di Enrico Molaschi. Nella raccolta Eco di Lombardia, di G. Ricordi e G. Gialdini, sono pubblicati alcuni canti attribuiti al repertorio del Barbapedana (con i testi, purtroppo, in traduzione ritmica italiana): Il gobbo, Cecchina, Sui vent'anni, L'amor tradito, Prima del velo, Se vuoi tu venir con me, Da giovinetto. La raccolta non è datata, ma dal numero di catalogo Ricordi la possiamo collocare come edita attorno il 1880. |
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Note
1. Arrigo Boito, La musica in
piazza. Ritratti di giullari e menestrelli moderni, Barbapedana, in Critiche
e cronache musicali, Milano 1931 (Questo scritto apparve nei numeri 8, 9, 14,
16, 20 della Gazzetta Musicale, edita da Ricordi l'anno 1870 firmato Tobia
Gorrio). 2. Carlo Maria Maggi, Il
Teatro milanese, a cura di D. Isella, Torino 1964, vol. 2. 3. G. Crespi, Le metamorfosi
di canzoni e cantilene popolari e le fonti del Barbapedana, in "La
Lombardia" n. 45, Milano, 14 febbraio 1913. Citato anche in: A.
Visconti, I Lombardi, Milano s. d. 4. Buona parte delle notizie
su Enrico Molaschi qui riferite sono state raccolte, con la pazienza e la
precisione che gli sono consuete, da Sandro Piantanida. Nel suo confuso e
disordinato Dizionario del gergo milanese e lombardo (Milano, s.d.), Nino
Bazzetta da Vemenia cita erroneamente il nome di Enrico Molaschi come Enrico
Mulacchio. 5. Vuole una tradizione
popolare che nel 1848, durante le Cinque giornate, Enrico Molaschi fosse
stato fatto prigioniero dagli austriaci in Castello e che da questi si
liberasse incantandoli col suono della chitarra. La diceria non ha alcun
fondamento di verità anche perché nel '48 il Molaschi ancora risiedeva a
Paullo. 6. Chi ha conosciuto il
Barbapedanna Enrico Molaschi ricorda che costui s'annunciava con una specie
di marcia molto gagliarda, che si sentiva di lontano ed era notissima a tutti
a Milano. 7. Boito si sbaglia, perché
al momento del suo incontro coll'autore del Mefistofele, tra il 1865 e il 1869,
il Molaschi aveva già più di quarant'anni. La descrizione di Boito ce lo
presenta però eccezionalmente giovane e gagliardo. 8. L'osteria dove si svolge
questa scena era quella famosa dei Tre Mori a porta Tosa. Il "fantasioso
poeta" che introduce il Barbapedanna era Emilio Praga; del "dotto
musicista tedesco" non ci è rimasto il nome. 9. Il trasporto dei vecchi
da via della Signora a Baggio avvenne, con notevole concorso di incuriositi
spettatori, per mezzo di un corteo di automobili messe a disposizione da
ricchi borghesi e aristocratici. Enrico Molaschi fu portato personalmente da
Umberto Visconti di Modrone. Il Barbapedanna apriva il corteo cantando e
suonando la chitarra sull'automobile altissima e scoperta. Di Enrico Molaschi
ci è giunta anche una piccola, sbiadita fotografia che lo ritrae, già
vecchio, nella nera divisa del Pio Luogo. 10. Lo strumento è descritto
nel catalogo del Museo al numero 54. All'interno della chitarra vi è un
curioso cartiglio che dice: ANTONIO ROVETTA Fabbricatore di strumenti
armonici / a prezzi discretíssimi / abita / alla Corsía del Duomo, di fianco
alla / Contrada di S. Redegonda n. 982 / in Milano / fece l'anno 1823 / |
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Il Barbapedanasecondo
Severino Pagani Il Barbapedanna è realmente
esistito. Si chiamava precisamente
Enrico Molaschi e fu il genuino cantastorie, il vero aedo popolare nato sulla
riva dell'Olona e rimasto, sulla fine dell'ottocento e nei primi decenni di questo
nostro tormentato novecento, a rappresentare la nostra città. Non alto, dalle forme
piuttosto rotondette, con una vecchia zimarra, quasi sempre di colore scuro,
un vecchio cilindro in capo, con una lunga penna di gallinaccio nel nastro
(guai se gli capitava di perderla) o meglio ancora con una coda vistosa di
scoiattolo, la fedele chitarra ad armacollo; era vispo, arzillo, anche
nell'età matura. |
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Lo si incontrava un poco dappertutto, nei locali più frequentati, e, assai spesso, anche per le strade. 1 luoghi preferiti erano però le tipiche osterie dei sobborghi. Abitava in vicolo Bindelino,
in quel groviglio di case squallide che si stendeva a Porta Tosa, dietro la
chiesa di S. Pietro in Gessate: quelle case non erano divise da vie, ma da
vicoli, dove non entrava neppure il sole, anche quando c'era. Appunto in una
stanzaccia, in fondo ad uno di questi vicoli, su un saccone mal governato, il
Barbapedanna dormiva le sue ore di riposo. Gaia fu sempre la sua vita;
di giorno e specialmente di sera, era invitato di preferenza ove si teneva
una festa popolare. Era il personaggio d'obbligo ai banchetti di matrimonio,
ai battesimi, alle Cresime o alle sagre rionali. Quando non era invitato,
compariva spontaneamente; spontaneamente si presentava dove era sentore di
baldoria, dove sapeva adunati parecchi amici in allegra brigata per fare un
po' di chiasso o per celebrare le ricorrenze d'obbligo. |
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Ma era sempre bene accolto
anche senza alcun richiamo; quando non aveva un impegno, era facile
ritrovarlo di sera o di mezzogiorno, dove si pranzava o dove ci si ritrovava
per un bicchiere di vino. Da un'osteria all'altra egli
portava una giocondità tutta ambrosiana, accompagnando con l'inseparabile chitarra
le sue famose canzonette. Tra queste, una era assai popolare; di essa egli
stesso era autore della musica e delle parole. Diceva: Barbapedanna el gh'aveva
on gilè senza el denanz, cont
via el dedreé; cont i oggioeu longh ona
spanna, l'era el gilè del
Barbapedanna... L'osteria da lui prediletta
e frequentata d'ai suoi ammiratori che l'accoglievano sempre festosamente e
che gli erano generosi di applausi e di soldini, fu l'osteria di Loreto, tra
l'inizio del Viale Monza e dell'attuale Via Padova. Là, dove oggi sorge un
Cinema era l'Osteria del Rondò di Loreto; qui il Barbapedanna raccolse i suoi
maggiori allori; ciò, però, avveniva anche all'Osteria del Convento Vecchio,
a metà del Corso Loreto (ora Buenos Aires); era un altro dei ritrovi frequentati
alle domeniche dalle famiglie borghesi e da allegre brigate; e anche qui il
cantastorie era molto familiare. Il Barbapedanna poteva
vantarsi degli applausi non solo del basso ceto di piccoli borghesi, ma pur
anche del mondo elegante d'allora che soleva recarsi coi più svariati cocchi
in tutte le osterie fuori porta, alle quali anche il nostro grande Porta
dedicò un allegro elogio: El diseva el Balestrer, e mi sont del sò parer, che no gh'è per
l'allegria on loeugh mèi de l'ostaria. … …
… e che viva el me Mariett
st'ostaria de Lorett l'è per vu, che mi l'hoo
in stimma che la lodi e imbrodi in
rimma... Rivediamolo dunque a Loreto,
il faceto Barbapedanna, e riudíamolo nella canzonetta che fu il suo cavallo
di battaglia e che deliziava piccoli e grandi: De piscinin che l'era el ballava volontera el ballava su on
quattrin de tant che l'era piscinin; … … … D'ona guggia de calzett l'ha faa foeura cent
stacchett n'ha vanzaa on
tantirolin n'ha faa foeura on
martellin... D'on'oreggia de camoss l'ha faa foeura cent
paposs; n'ha vanzaa on
tantirolin n'ha faa joeura on
papossin per mett dent el so
pescin... ... de on guss de nòs l'ha faa foeura on lett de spos; n'ha vanzaa on
tantirolin n'ha laa foeura on
sciffonin per mett dent... La canzone, o cantilena che
fosse, era interminabile poiché il cantastorie la sapeva sempre «aggiornare»
e - a seconda - dell'uditorio sapeva renderla più o meno piccante. Barbapedanna aveva, in
proposito, l'occhio clinico e non sbagliava a dilettare i suoi ascoltatori. Altra sua canzone famosa fu
quella de « La tegnoeula » con parole di Averardo Buschi: Me regordi che on dì, in
la mia scoeura ho vedùu sgorattà ona
tegnoeura... Tutt stremii me sont miss a vosà « Te la chi!... te la li... te la là ... » La maestra, stremida anca
lee la desmett de spiegà
l'abbeccee ... e anca lee la dà foeura
a strillà « Te la chi!... te la lì... te la là... » Con la scova el va a
caccia el bidell, nun scolar tremm in ari
el cappell dandegh dent a sguagnì,
sbragalà « Te la chi!... te la lì... te la là... » La tegnoeura giamò mezza
morta la gh'ha coeur de scappà de la porta e nun piangem podend pù vosà « Te la chi!... te la li... te la là... » Inutile dire come i piccoli
si scompisciassero dalle risa e dall'emozione nel seguire l'immaginario volo
di quel pipistrello, che Barbapedanna sapeva tanto bene rincorrere con
pizzicato della chitarra e con le occhiate saettanti di su, di giù, di qua e
di là. Dopo aver fatto, col
piattello, il giro dell'osteria, distribuendo larghi saluti a destra e a
manca col suo cilindro adorno del codino dello scoiattolo, era costretto a
concedere il bis. Il Barbapedanna era un vero
aedo popolare; spesso, quando ne era richiesto, si prestava a recitare e a
cantare anche le bosinade del momento, composte per commentare qualche fatto
del giorno. Di solito queste bosinate ispirate a fatti reali, accaduti in
città o fuori, venivano magari recitate dagli improvvisati dicitori
all'angolo delle contrade, ma la recitazione del Barbapedanna aveva un
fascino tutto singolare, con opportune cadenze, e davano risalto popolare
anche ad umili componimenti. Perché i dicitori popolari,
soliti a declamare agli angoli delle strade erano detti bosini? Bosin era il diminutivo
di Ambrosin (Ambrogino) nome molto comune specialmente nel contado milanese,
donde gli estrosi dicitori - si diceva scendevano in città per esercitare la
loro popolare arte del dire in pubblico(1), perché anche allora
questo mestiere procurava parecchi soldarelli. Il Bardapedanna recitava di
preferenza canzoni composte da altri, alle quali egli applicava una
caratteristica cantilena. Raramente - come ho ricordato componeva le sue
strofe. Il poeta Gaetano Crespi
sosteneva che pure la caratteristica canzone « De piscinin che l'era »
originariamente derivasse da una filastrocca cinquecentesca, alla quale il
popolare cantore adattò molte varianti, tutte basate su due semplici note,
che il Barbapedanna sapeva magistralmente modulare. Famoso il bosin orb, un
certo Verpello, fatto impiccare dal Governatore d'Ossiuma perché aveva osato
beffeggiarlo in una bosinada, che aveva ottenuto grande successo. Della vera origine del nome
di Barbapedanna non sapremmo sicuramente giurare. Alessandro Visconti, autorevole
ricercatore di curiosità milanesi, a proposito di questo originale
chitarrista assicura che il nome di Barbapedanna si trovasse già nelle stampe
del 1600 e cita anche un passo di Carlo Maria Maggi e precisamente quello
della sua canzone « La discolpa de Meneghin », dove si fa già il nome di
Barbapedanna. Barbapedanna significa «
giovanotto » e precisamente quello spavaldo, abituato a portare
spensieratamente la spada, cui faceva spesso da bandiera la grande cappa.
Giovanotto spavaldo, amante anche di qualche lepida avventura, il
Barbapedanna doveva essere stato in gioventù, anche se la spada non l'ha mai
portata. Il poeta Medici, d'altro
canto, avrebbe scovato fra le stampe della Biblioteca di S. Marco, in
Venezia, filastrocche, pifferate e cantate nel lontano secolo XVII; sempre
secondo il Medici, esse appartenevano ad un certo Barba Pedana. In tal modo
il nostro Barbapedanna non sarebbe milanese d'origine; anche il nome da lui
scelto non sarebbe del tutto originale, avendo avuto un predecessore veneto
nella denominazione. Infine, nelle « Confessioni
» di J.J.Rousseau, si parla di un tipo curioso detto Barna Bredanna, il che
farebbe supporre qualche rapporto di parentela tra una macchietta francese e
il cantastorie dell'Osteria di corso Loreto e di altri sobborghi milanesi. Comunque sia, per i
Milanesi, Barbapedanna era tipo prettamente nostrano. Dopo l'impresa di
Tripoli egli si era trasformato in una sorta di eroe africano e usava cantare
queste strofe del poeta Gaetano Crespi: Barbapedanna gh'aveva on
scioppett per spara contro i soldà
de Maomett: e 'sto scioppett lungh
appena ona spanna, l'era il scioppett del
Barbapedanna. E del bersaglier che
l'era, e' sparava volentera el sparava el sciopettin
contra i brutt di
Beduìn. Povero Barbapedanna! Erano
tempi in cui ci si divertiva con poco! È finito anche lui all'ospizio dei
poveri vecchi, istituito per la generosità di un Triulzio. Vestì anche lui la vecchia
divisa di allora, una lunga, sgraziata zimarra di ruvido panno color marrone
tabacco; gli fu concesso, però, di conservare nel nastro del cappello una
penna di volatile o, meglio, la preferita piccola coda dello scoiattolo. Il Barbapedanna fu ricordato
ed esaltato anche da uomini illustri; perfino Arrigo Boito gli riservò parole
di lode e di cordialità. Anche negli ultimi istanti
gli restò il brio giovanile. Ecco Perché ancora molti ricordano con
Predilezione questo immutabile, paffuto chitarrista, tarchiato e rubicondo,
gioviale e chiassoso ch'el gh'aveva on gilè senza el denanz e con via
el dedrée... La sua famosa chitarra, fabbricata nel 1823 da Antonio Rovetta, buon liutaio, con bottega in via S.Radegonda, è ora conservata nel Museo degli Istrumenti Musicali al Castello Sforzesco di Milano. |
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Il Barbapedana, a cura di Roberto Leydi, in Milano e il
suo territorio - Mondo Popolare in Lombardia vol.13, Silvana
Editoriale Il Barbapedana e altre figure e figurine della Milano di ieri, di Severino Pagani,
Ed.Virgilio Canzoni Popolari Milanesi, a cura di Attilio Frescura e Giovanni Re Canzoni Popolari Milanesi, a cura di Luigi Inzaghi, ed.Libreria Milanese Folk della Vecchia Milano, a cura di E.Consonni, L.Frattini, A.Costa,
S.Varnavà, Casa Musicale Eco - Milano Milano che sfugge, di Carlo Romussi, Carlo Aliprandi Editore |
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