I
Protagonisti: Rudy Magnaghi controcorrente dal naviglio |
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Milano negli anni sessanta cresceva a vista d’occhio e la città perdeva giorno dopo giorno quel poco di dimensione umana che ancora le restava: dov'era la bella fontana ci costruivano un grattacielo, dove fino a poco prima stavano il fossato con il prato v’insediavano autorimesse sotterranee; una strada sopraelevata prendeva il posto degli gli alberi lungo il viale… Ma un'osteria sopravviveva fuori dal dazio, sul lato sinistro del vecchio Naviglio Pavese, in un angolo residuo della Milano artigianale e intimista. Là, ci racconta chi se lo ricorda bene, un giovane aveva compiuto il miracolo: fermare il tempo al 1940. |
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Il suo nome era Rodolfo
Magnaghi, ma per tutti era Rudy. Di mestiere faceva l’oste e nella sua
osteria, mentre sua madre cucinava e serviva in tavola, lui intratteneva i
suoi clienti e amici cantando canzoni di un mondo scomparso. Canzoni vere,
ingenue forse, talvolta banali ma autentiche come autentico era il nostro
personaggio. Si diceva che Rudy
conoscesse almeno trecento canzoni. Quelle del Bal Tabarin, quelle del
Varietà, quelle del Cafè Chantant, ma soprattutto quelle delle vecchie
osterie milanesi tanto care al Porta e al Maggi. Tutte imparate "de
bouche à oreille" dal padre, attore di varietà e musicista. Ogni sera Rudy cantava per i
suoi clienti, anzi "interpretava" le canzoni con un suo stile
personalissimo, efficace e genuino, sornione e arguto, garbato e malizioso al
tempo stesso. Di Rudy e della suo osteria
si sparse ben presto la voce. Anche quell’angolo della Milano che fu, era
destinato a sparire, e la ruspa di qualche piano regolatore presto passerà di
lì. Ma allora la gente del mondo dello spettacolo voleva vedere questo giovane
che con la chitarra o il pianoforte riusciva a far riemergere nella memoria
ricordi che caratterizzavano periodi perduti della nostra vita, della vita
dei nostri padri e nonni. Nell’osteria di Rudy
approdavano talvolta il regista teatrale famoso, il produttore discografico
di successo, il proprietario del cabaret alla moda. Ognuno di loro aveva
parole di ammirazione per Rudy e proposte di lavoro. Ma Rudy resisteva,
spendo che il mondo che gli era più congeniale era quello dell'osteria e
aveva paura di essere snaturato passando in altri ambienti. Dopo qualche anno
di schermaglie, il proprietario del cabaret alla moda - che aveva capito che
il pubblico voleva ad ogni costo qualcosa di vero, di non sofisticato, non
solo a tavola ma anche nel suo teatrino - riuscì a convincere Rudy a cambiare
le mattonelle della sua osteria con il parquet lucido del cabaret. Il successo fu immediato:
156 repliche nell'arco di due stagioni con Rudy che, con grande facilità e
naturalezza, poiché credeva in ciò che faceva, passava dai panni del Viveur,
a quelli del moscardino, dell'apache, del ganimede vizioso, del pittore
folle, dell'ufficiale prussiano, o del Luisin della Vetra. Una galleria di
personaggi umani, eppur incredibili, goffi e laidi forse, ma veri. Nell’estate del 1972 il
salto di Rudy dal cabaret al teatro vernacolo. Più di un mese di repliche sul
palcoscenico naturale della ex Villa Reale di Villa Palestro quale animatore
del lavoro teatrale di Crivelli e Colombo “E verrà quel dì di festa”. Poi un disco e poi altri.
Raccolte di canzoni genuine come genuine sono le interpretazioni di Rudy.
Genuine a tal punto che non era insolito accorgersi di un’errore di sintassi
o di una sfaldatura di voce nelle sue canzoni. Ma i dischi , ciò che oggi
ci rimane di lui al di fuori del suo ricordo, non rendono giustizia a Rudy,
perché Rudy non era da ascoltare o meglio, non solo. Era da vedere! Solo
vedendolo si poteva avere l'esatta dimensione dell'uomo e dell'artista. La
sua mimesi e la sua voce erano i veicoli per un salto nel tempo andato, un
richiamo alla semplicità perduta e a un modo di vivere “più umano”. Era un
modo semplice forse, ma sereno, ingenuo anche ma sincero. E
nell'interpretazione di Rudy stava la suo forza. Tetro o gioioso, tragico o
allegro egli era sempre autentico. Persino là dove la situazione oscena - mai
scurrile - di una canzone avrebbe potuto farlo cadere nel banale o nel
volgare, il suo inconsapevole spirito spontaneo lo portava con una strizzata
d'occhi o con un semplice gesto a sdrammatizzare e quindi risolvere la
situazione rischiosa con garbo e delicatezza. Quindi un personaggio da
ricordare. In tempi in cui la canzone milanese nella sua spontaneità e
estrosità si va forse spegnendo, il ricordo di un personaggio come Rudy è
ancora una boccata d'aria pura. Nelle sue canzoni e nelle
sue espressioni si riscoprivano le realtà e l’identità realtà di una Milano
che va ormai scomparendo: il Naviglio con le osterie e i pergolati, il
fantaccino innamorato, il ballerino di mazurka, il Pierrot lunare, il monello
lacero e romantico e altre canzoni non “inquinate”. Del Rudy ricorderemo sempre
il cuore di un artista genuino che forse ha sbagliato epoca. Rodolfo Magnaghi
detto Rudy. |
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